va bene così

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40000 piedi
verso Ovest
Verso casa.
La Terra sotto che posso solo immaginare
Lo schermo non va e non andrà per le prossime 12 ore
Un libro e la mia musica che non tengono abbastanza compagnia
E un pensiero si insinua
Occupando ogni dimensione
scivolando dalla mente
giù fino al cuore
Gli occhi si sbarrano
e lentamente iniziano a bagnarsi
cercando un mondo oltre quella tendina blu
In fondo al corridoio di questo gigante dei cieli.

fermo immagine

STOP

Adesso sono fuori
Nuvole aria fredda silenzio
luce che abbaglia
tempesta
frastuono
esplosione di colori
rivelazione.

Voglio viaggiare,
ancora e ancora e ..!

Voglio aprire gli occhi ogni giorno in un posto nuovo

Voglio cieli azzurri
Attraversare il deserto
Scalare una vetta sempre più alta e vedere il mondo da lassù
Perdermi tra boschi e foreste e sentirmi parte di essi
Respirando la lentezza della vita di alberi secolari.

Attraversare gli oceani sentendo l’impeto del mare
E perdermi nell’orizzonte
dove il blu dell’acqua si unisce a quello del cielo.

Vivere notti piene di stelle

lontano

fuori da ogni civiltà
e tuffarmi nelle  notti pieni di milioni di luci di una grande metropoli

Voglio contaminarmi.

Voglio parlare tante lingue e dialetti.
Abbracciare genti di ogni colore,
mangiare con loro,
dormire con loro

Amare con loro!

Condividere pezzi di vita con loro.
Ascoltare i loro sogni le loro paure le loro speranze
O semplicemente vivere il loro vivere.

Camminare su milioni di strade e sentieri.
E fermarmi il tempo necessario a riposarmi
Per poter assaporare il gusto di ciò che mi ha guidato fin li,
E riflettere sull’amarezza di ciò che mi ha provato.
Correre nudo scaldato dal sole
e rotolarmi su un manto di neve immacolata.

E poi per qualche angolo di questo mondo
Incontrarti ancora una volta
Così per caso.

E con un semplice mio sorriso
Farti vedere quanto tutto è stato bello.

Davvero!
Nonostante tutto.

Poi salutarti con gioia
E riprendere il mio viaggio
senza cercare altro
che vita e bellezza
di cui il Mondo è meravigliosamente e infinitamente pieno!

E trovare finalmente la piena libertà.
Mentre consumando le mie suole,
sull’asfalto o un terreno impervio,
o sprofondando nella neve o nel fango o nella sabbia

alzo la testa di fronte a me
mi apro in un sorriso
E dico:

Va bene così!

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Heroes

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In questa notte nell’immenso del firmamento c’è un angolo di universo che sarà diverso, per sempre, più buio del solito. Da oggi manca il posto occupato da una stella di nome David Bowie.

Stamattina appresa la notizia, ho scritto due messaggi, diversi per motivazione e per destinatari, ma legati entrambi alla scomparsa di David Bowie. In uno di questi scrivevo “le stelle più belle brillano una volta sola”.
La sensazione che volevo comunicare era che sentivo come se oggi si fosse spenta una stella unica nel panorama artistico, musicale e culturale….e aggiungo anche e soprattutto personale. Spesso certe celebrazioni sono conseguenza di una retorica collettiva che ci travolge indipendentemente dal reale coinvolgimento: ma io credo che talvolta certe canzoni, certa musica, certi chiamiamoli artisti entrano talmente in simbiosi con le nostre strade, con le nostre vite, che essi stessi diventano compagni di vita o di storie vissute. Heroes nacque il mio stesso anno, nella Berlino divisa tra l’esplosione punk e il buio del passato…ma tutto questo lo avrei imparato tanti anni dopo, sul finire dell’adolescenza, quando mi spinsi a capire e sviscerare quelle note familiari appartenenti ad un essere strambo che di umano aveva ben poco. Ricordo ai tempi che Bowie mi dava più l’idea tra un mezzo demonio e un alieno dalla pelle umana. Ma quelle note che esplodevano in un testo incredibile andavano al di là delle sue fattezze fisiche e pittoriche.

Tanti anni dopo, ancora per caso, divenne il segno di una svolta epocale che questa volta mi riguardava in prima persona…e la coincidenza del testo con l’essere eroi nella vita di ogni giorno, essere eroi nell’essere se stessi, essere eroi anche solo per un giorno, anche quello fu un puro caso. Dopo quella svolta, quella canzone non divenne più solo mia, ma condivisa in una storia d’amore, la più bella fin qui vissuta. E in quel tempo unico, venne anche un nuovo lavoro di Bowie dopo 10 anni di silenzio: e quel lavoro partiva proprio dall’album Heroes del 1977 sfruttandone in parte la copertina dell’epoca. Non una coincidenza, questa volta.

Oggi voglio credere che quella canzone, ed io, e quell’anno 1977 siamo legati per davvero!

“We can be Heroes
Just for one day
We can be Heroes 

We’re nothing, and nothing will help us
Maybe we’re lying,
then you better not stay
But we could be safer,
just for one day”

Una stella di nome Bowie si è spenta, non so se fosse la più bella o la più luminosa; di sicuro ha brillato in un modo diverso dalle altre e questo basta per dire che è stato uno spettacolo unico e irripetibile in questo universo. 

Il video che segue è la scena di un film particolare, a mio avviso non banale e che in qualche modo parla di qualcosa che siamo stati. Lo avevo già postato qualche tempo fa in questo post del 2013 Noi siamo infinito. Non importa se non lo avete mai visto, se non conoscete la storia di questi ragazzi, chi sono e cosa hanno passato…quello che conta è che questa scena si conclude con l’urlo che ognuno di noi ha fatto echeggiare all’uscita di un qualche tunnel…e lì nelle nostre orecchie, come in quelle di questi ragazzi, echeggiava il potere infinito che hanno solo gli eroi…un urlo infinito…l’urlo di Heroes!

 

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una stanza in purgatorio

Natale è passato da pochi giorni, e con esso è passato quello strazio soffocato che mi sono portato per 10 giorni di fila. Lo strazio di trovarsi nel posto e in momenti che ho sopportato solo per non sporcare, con la mia sofferenza, l’aria di festa di cui il mio antico mondo si tingeva. Ma forse sono riuscito anche in questo: dal mio essere distaccato da tutto, alla scomparsa del mio sorriso che un tempo riempiva il mio volto, fino alla costante ricerca della via di fuga da situazioni che improvvisamente diventavano insostenibili, mentre la gente che ti ama vedeva accrescere in me un senso di angoscia come in una pentola a pressione. E la loro impotenza alimentava la mia.

Anche la vista del mio amato mare non ha alleviato quel senso di prigionia in cui mi sono ritrovato. Ho guardato quell’orizzonte che si fondeva in un intenso blu come fa un carcerato che guarda oltre il muro del cortile della sua ora d’aria: pensa ogni giorno alla vita che scorre al di là di quel muro e di cui lui non può essere parte.

Ho affogato il tempo cercando di anestetizzare nel sonno tutti i sensi, non tanto per dare conforto e riposo a ciò che ogni cellula di me ha patito per così tanto tempo, ma per trovare nel distacco dal vivere un senso di oblio: un non luogo e un non tempo in cui abbandonare tutto.

E quando i giorni di quella pena volgono al termine, mi imbatto in un articolo, un blog di una attrice-scrittrice americana Lauren Skirvin che con una semplice definizione getta una luce chiara su questo angolo di vita: l’enorme tragedia di trovarsi intrappolati nel “purgatorio dell’amore”. La stanza in cui sono prigioniero è in un luogo fisico e dimenticato e a cui si è in un certo senso condannati. Una condanna del cuore che non si assolverà mai, mai del tutto.

Dice la Skirvin a proposito di questo purgatorio:

“È un luogo fatto così: tu sai bene chi è l’amore della tua vita, ma voi non state più insieme. Magari siete usciti per un po’, forse avete avuto una vera relazione, oppure non siete mai stati ufficialmente insieme. Ma il filo che vi lega è così robusto, così vero, così magnetico che la vita vi catapulta sempre, continuamente indietro. Il fatto è che la vostra storia non ha mai raggiunto il suo potenziale. Così ci rimanete impigliati, non finisce mai.”

E così ti trovi seduto in quella che mi sono immaginato come una stanza-prigione, come quella narrata nel film “Al di là dei sogni” con un grandissimo Robin Williams, in cui la moglie è intrappolata per l’eternità e da cui non potrà mai più staccarsi. In questo purgatorio dell’amore si rimane seduti in attesa di un ritorno, cercando distrazioni per andare avanti, fino a pensare di poter vivere anche altro, forzandosi di incontrare bellissime persone e magari intraprendere nuove relazioni, nella convinzione che tutto riprenda il suo corso naturale.

Ma non è lui, non è mai chi dovrebbe essere! I tuoi amici ti crederanno un pazzo, o ti diranno che ci sono passati e il tempo, il Tempo, guarirà tutto e ridarà nuova forma alla tua strada. Ma il tempo passa, e passano le vite che  ti stanno attorno, ma lui non passa, non passa quello che hai vissuto, le mura di quella stanza ingialliscono, invecchiano ma rimangono inviolate e uguali a se stesse.

Dice Blaise Pascal “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non capisce”.

Del resto il cuore e il cervello sono i due lati opposti dell’universo-uomo, che non si incontreranno e per questo non si comprenderanno mai, anche se non possono vivere l’uno in assenza dell’altro. Ciò che per tanti è stato lineare, semplice, sereno, per altri che, come me, si trovano intrappolati in questo angolo di purgatorio non sarà così e credono fortemente che il tempo è solo la distanza che ci separa dalla seconda volta che il destino o la natura delle cose ci concederà.

L’illusione di un toc toc sulla porta di quella stanza, che tu apri senza più ansia o aspettative….e finire per rivedere quel ritorno in cui un tempo avevi fortemente creduto, prima ancora di iniziare a sperare.

E quel giorno per quelli come noi che sono intrappolati lì, dice la Skirvin, quel giorno ci sarà. Per forza, come nei film.

 

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Fino in Nuova Zelanda

stanotte ho fatto un sogno, così denso, intenso, vero nelle sue metafore che non smette di tormentarmi. Ho pianto nel sogno e mi sono risvegliato piangendo, anche se ho cercato in tutti i modi di rimanere dentro quell’universo parallelo, unico modo che mi consentiva di stare lì vicino a te.

Non so da che punto ha avuto inizio, forse dal punto in cui sono adesso. Avevo deciso, dopo quasi tre mesi passati senza avere più alcuna tua notizia, ma che a me sembravano anni, di rimettermi a cercarti. Impresa complessa, e come si sa la complessità nei sogni è enfatizzata dalle circostanze anomale: tu non eri più qui da tempo, eri lontano, lontano da Bologna, lontano dall’Italia, dall’Europa…eri in Nuova Zelanda, forse metafora del semplicemente LONTANO e quasi impossibile da raggiungere.

Tramite un amico che, per strane coincidenze viveva lì, riesco ad avere conferma che sei lì e che tutto l’universo che ruotava attorno a te era completamente cambiato, nuovo, irriconoscibile. Mi sono messo in viaggio, verso la Nuova Zelanda, verso quella che nel sogno era un’isola in mezzo all’Oceano. Sono arrivato che pioveva, tirava vento e il mare era impetuoso. In quell’isola non troppo grande ho avuto difficoltà a ritrovarti. La carica emotiva era enorme, e il mio amico cercava in tutti i modi di smorzare ogni aspettativa, ogni vana illusione. Ma quel viaggio che senso avrebbe avuto allora?

Così uno di quei giorni lontani ti ho rivisto: il cambiamento era palpabile semplicemente perché anche il tuo aspetto era cambiato, il tuo volto, il tuo fisico, la tua voce. Il sogno ti aveva trasformato in un’altra persona. Io per te ero quasi un estraneo, anzi uno straniero: quasi che quella terra così lontana avesse confuso ogni cosa. Mi guardavi in modo sfuggente e perplesso quando ho provato a riabbracciarti, finche ti sei distaccato da me  e ti sei messo a parlare in inglese con il mio amico.

Nei giorni successivi qualcosa sembrava riaffiorare in te, la sensazione di un antico legame. Ma il tuo nuovo mondo era quello, la Nuova Zelanda era un universo a cui non appartenevo e in cui non sarei potuto rimanere ancora molto. Ho cercato di capire cosa fosse quel mondo, di sentirlo raccontare da te, di sentirti ancora un altro po’ parlare della tua quotidianità. Non eri molto loquace o disponibile a raccontarti, ma ogni giorno di più lasciavi trapelare qualcosa di quel nuovo mondo, qualcosa che ti illuminava gli occhi, qualcosa che diceva che ce la stavi mettendo tutta, che eri deciso più che mai nonostante fosse spesso difficile più di quanto avevi pensato quando eri arrivato lì. Ma in quegli occhi che adesso mi fissavano sempre più a lungo, percepivo e intravedevo una certa nostalgia che cercavi di celare in tutti i modi. Ho provato a chiedertelo ma hai glissato tornando a parlare in inglese con il mio amico.

La mattina bussava da questa parte, quell’isola iniziava ad essere avvolta da una nebbia sempre più fitta, ho cercato di rimanere il più possibile, di sentire ancora un po’ il tuo calore…ma quella piccola porta onirica si è chiusa e io mi sono ritrovato da questa parte, sul mio letto a piangere per qualcuno che non riconoscevo neanche più ma che sentivo ancora forte.

E la sensazione che mi ha pervaso dal mio risveglio per tutta la giornata, è che in quegli ultimi istanti prima che tutto svanisse, sembrava stessi per dirmi un ultima cosa, forse quel qualcosa che in tutto questo tempo mi avrebbe aiutato a capire un po’ di più tutta questa lontananza, a capirti come forse non sono riuscito a fare.

Quel qualcosa , se c’era davvero, è rimasto lì in Nuova Zelanda, LONTANO.

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memorie di un dolore

Ho resistito; ho lottato contro il dolore come contro una cancrena.

Ho ricordato le sue caparbietà, le sue bugie; mi son detto che sarebbe mutato, ingrassato, invecchiato. Fatica sprecata: come un artigiano coscienzioso si logora a copiare un capolavoro, così io mi accanivo a pretendere dalla mia memoria una esattezza insensata.

Mi mancava tutto: il compagno delle feste notturne, il giovinetto che si abbassava sui talloni per aiutare Euforione a disporre le pieghe della mia toga. A dar retta ai sacerdoti, anche l’ombra soffriva, rimpiangeva l’asilo caldo che era per lei il suo corpo, e frequentava gemendo i paraggi familiari, remota e vicina, momentaneamente troppo debole per farmi intendere la sua presenza.

Se era vero, la mia sordità al suo richiamo era peggiore persino della morte. Ma avevo forse compreso, quella mattina, il giovane che ancor vivo mi singhiozzava al fianco?

Una sera, Cabria mi chiamò per indicarmi una stella, nella costellazione dell’Aquila, che era stata appena visibile fino allora e che improvvisamente palpitava come una gemma, batteva come un cuore. Ne feci la sua stella, il suo segno. Ogni notte, mi esaurivo a seguirne il corso; ho scorto strane figure in quella parte di cielo. Mi ritennero folle. Ma non mi importava.

da “memorie di Adriano”

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la roccia e il mare

Ero una roccia,
su cui ti lasciamo aggrappare ogni volta che il tuo passo cedeva,
ogni volta che cercavi un approdo sicuro,
ogni volta che la tempesta ti riportava fin qui con la sua violenza
ogni volta che la paura cercava un riparo.
Malinconica fermezza.

Tu eri il mare,
dolce letto su cui mi cullavo,
che mi avvolgeva caldo nelle notti d’estate,
su cui ho viaggiato verso mete inesplorate,
la cui brezza fresca riempiva l’aria e i miei polmoni.
Imprevedibile mutevolezza.

L’ultimo lampo ora è lontano,
e il rombo che ne segue è sempre più soffocato.
Il vento si è spento
e di colpo la quiete e il silenzio
prendono il posto del frastuono
scatenato dalla tempesta un attimo prima.

Il denso nero del cielo si dirada in un grigio sempre più tenue
e tracce di azzurro si intravedono, a stento,
come piccole vene che attraversano le nuvole compatte.
Sembra quasi che il mare sia scomparso o che non ci sia mai stato qui.
Il deserto di sabbia e rocce lasciato tutto intorno sembra esserci da sempre.

Ma prima ricordo che non era così.
O forse avevo solo sognato.

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Rabbia

“Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come nel ventre
materno, in quest’ ardente
odore di umile rosa bagnata.
Ma lottavo per uscirne, là nella provincia
campestre, ventenne poeta, sempre, sempre
a soffrire disperatamente,
disperatamente a gioire…

La lotta è terminata
con la vittoria. La mia esistenza privata
non è più racchiusa tra i petali d’una rosa,
una casa, una madre, una passione affannosa.
È pubblica. Ma anche il mondo che m’era ignoto
mi si è accostato, familiare,
si è fatto conoscere, e, a poco a poco,
mi si è imposto, necessario, brutale.
Non posso ora fingere di non saperlo:
o di non sapere come esso mi vuole.
Che specie di amore
conti in questo rapporto, che intese infami.
Non brucia una fiamma in questo inferno
di aridità, e questo arido furore
che impedisce al mio cuore
di reagire a un profumo, è un rottame
della passione…

A quasi quarant’anni,
io mi trovo alla rabbia, come un giovane
che di sé non sa altro che è nuovo,
e si accanisce contro il vecchio mondo.
E, come un giovane, senza pietà
o pudore, io non nascondo
questo mio stato: non avrò pace, mai.”

Pier Paolo Pasolini

anger

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fai buon viaggio…

…e ricorda che l’importante non è la destinazione, ma il viaggio!
Vivi, se puoi, questa sensazione e portala con te sempre, come un compagno, come lo zaino sulle spalle che diventa parte di te, come una maglietta che si fonde con la tua pelle!
E torna con una voglia ancora maggiore di rimetterti in viaggio.

kublai_on_the-road

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sempre nella mia mente

e di nuovo qua, a distanza di un anno esatto, come se in un anno non fosse cambiato niente…invece è passato tutto, sei tornato, l’abbiamo vissuta in pieno e poi ancora sei andato via…cambiati, siamo cambiati tanto in un anno, e qualche volta siamo riusciti anche a spiegare le ali e sollevarci al di sopra delle fragilità terrene, fino a raggiungere la profondità di quel cielo che ho chiamato amore. E in queste sere, sempre più calde, scorrono le immagini di tutti quei viaggi, scorrono le immagini di te e di me, scorrono le note leggere e colorate di tutto ciò che è stato bello, perché tutto è stato bello.

Penso a te
Non ho dormito
Penso di farcela, ma
Non dimentico
I movimenti del mio corpo,
che va dove voglio
Ma anche se ci provo il mio cuore è fermo
Non si muove mai, non vuole saperne di partire
E quindi la mia bocca si bagna per essere alimentata

E sei sempre nella mia mente
sei sempre nella mia mente
sei sempre nella mia mente
sempre nella mia mente

Questo, penso,
è per dirti che sei la scelta
tra tutti gli altri…

ALWAYS IN MY HEAD – COLDPLAY

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semplicemente finisce

e finisce così, con la parola “fine” che ancora non faceva parte del mio vocabolario…

un po’ come tutti volevano farti capire sarebbe finita dicendoti “ma sai a cosa stai andando incontro?”

ma in fin dei conti forse lo sapevi già, e la risposta che ti sei dato ti bastava: “ne vale la pena viverla fino in fondo, vivere ogni attimo, ogni secondo, ogni piccolo momento che un giorno si farà ricordo”.

Finisce così, semplicemente, come era iniziato…perchè le cose più semplici riescono a regalare le gioie più grandi, ma anche pari sofferenza.

Finisce tra le lacrime, finisce con il buio della notte davanti una chiesa e il caldo torrido che fa spazio al fresco di una sera di inizio estate.

Finisce tra i milioni di ricordi che non pensavi aver potuto accumulare in questo lunghissimo anno….poche foto rimangono di te e di lui a raccontare i sorrisi, i colli, i prati, le superficialità, i weekend brevissimi, la stazione di bologna, la piazza buia del primo bacio, le serate al pub dove abbiamo bevuto la nostra prima birra, il freddo del portico dei Servi, la tua camminata strisciante, gli spritz che tante volte avevi promesso e non sei mai riuscito a farmi, la notte sul belvedere a San Michele con Bologna immensa e bellissima sotto di noi, il primo inverno in cui ti sei riscaldato, Venezia (dove non siamo andati…ma sei andato per me), i sopralluoghi in Montagnola, casa vecchia e il soppalco dove ti lasciavo dormire quando scappavo via al lavoro, casa nuova che non sei riuscito ad amare perché troppo “anonima”, il divano dove ti trovavo crollato la sera  dopo che tornavamo da fuori, le tue agitazioni notturne, i nostri sogni, Londra Berlino e l’America, le tue paure, le mie, il tuo programma preferito, le nostre bici a velocità diverse, la casa “baracca” e la tua disperazione di quando sei scappato via, la tua casa nuova e i racconti sulla PF, le nostre canzoni, heroes….tutte le nostre prime volte….

e finisce così, semplicemente come era iniziato…

“my hands are tied
my body bruised
You’ve got me with
Nothing to Win and
Nothing left to Lose”

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su queste note…

So che la mia presa era un pò stretta,
Ma da dove venivo, tu eri l’unica cosa giusta
Credo che mi dispiace per quello.

Ma se pensi che queste barre d’amore che hai forgiato
mi terranno qui rinchiuso, e in attesa, e le tue
“Baby sei sbagliato”

Perchè baby me ne sto andando
Bambino sto andando

Ora, decidere di che cosa avevi bisogno, una guida o un ladro
Qualcuno che ti tenesse, o affilasse i denti
Non sto rimanendo per scoprilo

Perché io credo che tu sei cieco
E penso che tu sia sordo
Il tatto è l’unico senso che hai lasciato.
Baby, buona fortuna.

Perchè baby me ne sto andando
Bambino sto andando

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Noi siamo infinito

Sam: “Perché io e quelli che amo scegliamo persone che ci trattano come fossimo nulla?”
Charlie: “Accettiamo l’amore che pensiamo di meritarci!”

******
”Io lo so chi sei Sam. Lo so che sto sempre zitto, e lo so che dovrei parlare di più, ma se vedessi le cose che c’erano nella mia testa la maggior parte del tempo, sapresti quello che ho provato. E quanto ci assomigliamo e che abbiamo sofferto le stesse cose. E tu non sei piccola… tu… sei bellissima”.

******
“Perchè io so che ci sono persone che dicono che queste cose non esistono, e che ci sono persone che quando compiono diciassette anni dimenticano com’è averne sedici; so che un giorno queste diventeranno delle storie e le immagini diventeranno vecchie fotografie, e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno, ma qui, adesso, questi momenti non sono storie, questo sta succedendo, io sono qui, e sto guardando lei… ed è bellissima. Ora lo vedo: il momento in cui sai di non essere una storia triste, sei vivo, e ti alzi in piedi, e vedi la luce dei palazzi, e tutto quello che ti fa stare a bocca aperta. E senti quella canzone, su quella strada, insieme alle persone a cui vuoi più bene al mondo, e in questo momento, te lo giuro, noi siamo infinito!”

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autunno dentro

Autumn_rain

Oggi inizio a sentire tutto l’autunno
esplodere dentro di me
inizio a sentire la gelida pioggia
scavare i solchi sulla superficie del mio volto
e sembro evaporare
e confondermi con la nebbia che riempie questa stanza.
Si, quella casa che conosci bene
sembra essere diventata immensa senza di te,
ma tu ci sei, ad ogni angolo, c’è il tuo odore,
la sensazione di te come quando dormivi
mentre ti preparavo la colazione,
e quando la fragranza del caffè saliva fin su
sussurravi il tuo “buongiorno, arancino mio”.
Nulla mi riscalda adesso,
neanche una doccia bollente,
che in realtà mi ghiaccia il corpo
mentre ho messo su il CD dei Rolling Stones
che avevi scovato non so dove
quando quella notte abbiamo fatto l’amore.
E le note di Wild Horses mi ricordano il tuo calore,
il tuo bacio soffice,
l’affanno del tuo respiro
le tue braccia candide,
la vena che si gonfiava al centro della fronte,
il tuo silenzio e il tuo sudore.
Niente di tutto questo c’è più in questa stanza,
solo i ricordi di noi,
e l’essenza di te che inesorabilmente inizierà a svanire nell’aria,
nonostante cerchi di intrappolarla, ti rinchiuderla, di non smarrirla,
mentre il freddo si fa più freddo,
il cielo non smette di piangere da tre giorni,
e il grigio si incupisce nella notte!

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il mostro

ma l’unica cosa evidente è che il mostro ha paura
il mostro ha paura…

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il bar

il bar

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